Autori Amina Bisogno, Ida Senatore
“La musica è come la vita, si fa solo insieme” Ezio Bosso
Chiunque, genitore, operatore o medico abbia avuto modo di entrare in un centro di psico-neuro-riabilitazione per l’infanzia e l’adolescenza della Campania si è trovato davanti la seguente immagine: mamme, nonne, papà seduti (a chattare con il telefonino) e qualche fratellino o sorellina che vaga nella sala d’attesa o gioca nell’angolo-gioco (se c’è). Allo scadere dell’ora di terapia, la sala d’attesa si popola di terapisti, che escono dai loro box di terapia e accompagnano i bambini ai loro genitori, salutandoli con poche battute del tipo: “oggi non ha lavorato bene, non ha voluto fare niente” oppure “oggi è stato bravo … è andata proprio bene, merita un premio”.
Questa immagine fa nascere a noi esperti del settore domande spontanee:
- – Perché le mamme e i papà sono soli in sala d’attesa e non sono in sala di terapia con i “loro figli-problematici”?
- – Attualmente le teorie psicologiche o pedagogiche sostengono che nello sviluppo di un bambino nella fascia 0-10 anni c’è una forte dipendenza dagli adulti di riferimento. Perché esiste tanta differenza tra la teoria e la prassi clinica?
- – Se il tecnico-terapista interviene per correggere da una “semplice dislalia del linguaggio” ad un più “complesso problema comportamentale”, con chi lo fa? A chi spiega gli esercizi da fare allo specchio? Come mai si affida un “problema comportamentale” o di “iperattività” allo psicomotricista, se a livello teorico, si è concordi sul fatto che un bambino con un problema comportamentale è il “sintomo” di una famiglia disfunzionale ed è quindi necessario lavorare sulle dinamiche relazionali familiari con una psicoterapia familiare?
Per tentare una risposta ai seguenti interrogativi è necessario fare chiarezza su qual è la situazione sanitaria, oggi, nella Salute Mentale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Nella cura della malattia mentale della fascia infantile e adolescenziale vige una contaminazione tra “malattie organiche” e “malattie funzionali”. Mentre nella psichiatria adulta c’è una differenziazione tra il neurologo (che cura le malattie organiche), lo psichiatra (che cura le malattie funzionali principalmente con i farmaci) e lo psicoterapeuta che cura le malattie funzionali principalmente con la “psicoterapia”, nella psichiatria della fascia infantile – adolescenziale esiste una sola figura di riferimento: il “neuropsichiatra infantile” che fa diagnosi e a volte cura sia le malattie organiche sia quelle funzionali. La differenziazione tra neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta interviene solo in un secondo momento: il neuropischiatra infantile fa la diagnosi, decide la cura, sceglie il tecnico, tra cui anche lo psicoterapeuta. Nei centri di riabilitazione la psicoterapia non è prescritta singolarmente, ma solo come supporto ad altri trattamenti quali la logopedia e la psicomotricità, infatti, è raro trovare prescrizioni con la sola “psicoterapia”, rarissime sono quelle con la sola “psicoterapia familiare”. In salute mentale non è possibile dividere i due momenti, invece, la diagnosi viene fatta da uno specialista e la cura da un altro e il secondo può avere anche un modello teorico di riferimento del tutto differente dal primo.
La confusione sia nel momento della diagnosi sia nella cura ha portato ad una sovrastima delle patologie organiche gravi e ad una sottostima di quelle funzionali. Vengono, infatti, sottovalutati e non ben inquadrati vari disturbi come le situazioni di ipostimolazione, i problemi di iperattività, l’inibizione emotiva, il ritiro sociale, le psicosi infantili precoci tanto da essere affidati a tecnici non preparati ad intervenire sulle situazioni, che se non trattate con la giusta cura si aggravano. Tali problematiche nell’infanzia e adolescenza necessitano di un intervento più complesso, dove si lavora sulle dinamiche familiari poiché tali difficoltà nella fascia infantile-adolescenziale sono sintomi di un “sistema familiare disfunzionale se non molto patologico”. La scelta del tipo di cura è strettamente legata al tipo di formazione del personale presente nelle strutture che si occupano di problematiche psico-neuro-motorie dell’infanzia e dell’adolescenza. E’ necessario che nei centri per l’infanzia e l’adolescenza ci siano equipe con meno “delegati alla terapia” e più responsabili individuali della diagnosi e della cura delle “famiglie-pazienti”.
Oggi in Italia si sta assistendo ad un fenomeno pericoloso che potremmo definire “l’epidemia dell’autismo”, diagnosticato spesso come “disturbo generalizzato dello sviluppo” o “disturbo dello spettro autistico”. Una tale generalizzazione diagnostica risulta pericolosa perché vengono aggravate patologie funzionali come la “psicosi infantile” facendole rientrare in patologie organiche come l’autismo o il ritardo mentale. In questo tipo di patologie è doveroso intervenire con una cura psicologica, facendo diventare il paziente “la famiglia” e non il solo “bambino-ragazzo”, dando la giusta valenza al continuum di gravità, che prevede tempi di intervento diversi, che possono far risparmiare molto sia nell’immediato che nel futuro. Intervenire nel momento giusto e con il giusto approccio su una problematica funzionale in infanzia e in adolescenza può prevenire seri problemi in età adulta che necessitano poi di sforzi umani ed economici ben più pesanti. Una psicosi infantile nella sua forma peggiore, trattata adeguatamente, fa sperare risultati incoraggianti, anche se richiedono fatica. Un disturbo organico grave, richiede una rassegnazione che necessita di accettare il paziente, anche senza la speranza della sua guarigione, e nello stesso tempo la forza di creare ponti perché la sua vita e quelle delle persone con cui interagisce, non diventino qualcosa di disumano (Ariano, p. 24, 2015).
La questione da porre al centro del mondo scientifico e politico è quindi una sola: è necessario scardinare il pregiudizio che la malattia mentale sia di tipo biologico, oggi la scienza porta avanti in modo concorde la teoria dei tre fattori bio-psico-sociale, in base alla gravità e preminenza di uno di essi cambia la forma e la gravità. Questa teoria ci conferma che la malattia mentale, dalla forma più lieve a quella più grave, mostra la presenza di disfunzioni relazionali all’interno della famiglia di appartenenza. Quindi non si può continuare a far diventare oggetto di cura “il solo bambino e/o adolescente”; se non si fa questo, non solo si ottengono scarsi risultati, si danno false speranze ai genitori, li si sottopongono a tempi terapeutici lunghi e non efficaci ma si procura anche un grosso danno economico alle famiglie e allo stato.
Per un tentativo di cambiamento, nella salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza, non si può prescindere dalla teoria dei tre fattori, mantenendo chiara la distinzione tra organico e funzionale.
L’ultima questione da evidenziare, ma non di minor importanza, è quella della libertà di scelta del cittadino su come e dove curarsi. In Italia il cittadino per tutte le malattie si rivolge al medico di famiglia, che può indirizzarlo a specialisti pubblici e/o privati e se necessita di interventi può, con la prescrizione del medico di famiglia effettuarli dove vuole, su tutto il territorio nazionale. Questo non avviene per le patologie nell’ambito della sofferenza mentale. Il genitore di un bambino si rivolge al servizio di neuropsichiatria del territorio che stabilisce la diagnosi e la cura e poi si mette in lista di attesa nei vari centri di riferimento del territorio e l’attesa può durare anche anni.
Per la salute mentale dell’adulto, le cose sono ancora più gravi: esistono i DSM che stabiliscono la diagnosi, la cura e dove curarsi. Al malato mentale è tolta la libertà di scegliere il tipo di cura, il medico e la struttura dove curarsi. L’attuale proposta di legge campana ha organizzato il servizio della sofferenza mentale per l’infanzia e adolescenza, sulla stessa falsariga, mettendo le premesse per:
- – una predominanza del fattore biologico che crea cronicità più che curare. E’ evidente, infatti, che a capo di tutte le commissioni c’è sempre un neuropsichiatra infantile al di là della teoria dei tre fattori (biologico-psicologico-sociale);
- – una statalizzazione della diagnosi e della cura a scapito della libertà di scelta da parte dell’utente che permette una corretta concorrenza tra i servizi pubblici sia statali che privati (imprenditoriali e sociali) accreditati portatrici di un miglior servizio clinico e sviluppo scientifico.
I sogni sono i nostri obiettivi futuri: il gruppo di lavoro di Sipinfanzia (guidato dal modello strutturale integrato (m.s.i.) di G. Ariano) ha come obiettivo quello di fare luce sulle contaminazioni teoriche ed operative sopra descritte per poter lavorare più serenamente nella clinica cercando di creare sempre una connessione tra la teoria dei tre fattori e la prassi terapeutica.
Il nostro sogno è quello di vedere le sale d’attesa, dei centri che si occupano dell’infanzia e adolescenza, vuote perché i genitori sono con i loro figli in sala di terapia per apprendere come aiutare i loro figli e attraverso loro diventare genitori più consapevoli e più capaci di fare il mestiere più antico del mondo ma anche il più difficile.
“Un corso di alfabetizzazione non produce effetto solo negli adulti cui si insegna; eleva il livello culturale della società in cui si è effettuato l’alfabetizzazione per il presente e per il futuro. Considerare la famiglia come paziente, più che il suo membro, bambino o adolescente, eleva la qualità della salute di un popolo nel presente e nel futuro”. (Ariano, p. 29, 2015)
Bibliografia
- Ariano G. (2015), Paidos Chaos. Curare la sofferenza mentale nell’infanzia e nell’adolescenza per ridurla negli adulti, Sipintegrazioni, Casoria (Na).
- Ariano G. (2015), Dal manicomio alla riconquista della vita. Teoria e pratica della psicoriabilitazione dei servizi della Cooperativa Sociale Onlus Integrazioni, Sipintegrazioni, Casoria (Na).
- Lanzaro S. (2013), Stultifera Navis. L’esclusione delle comunità terapeutiche private dall’accreditamento istituzionale campano, Sipintegrazioni, Casoria (Na).