ARTICOLO: IL LAVORO SUL CORPO IN PSICOTERAPIA E PSICORIABILITAZIONE

12 Ottobre 2017

Nel tardo pomeriggio del 22 settembre scorso il professor Ariano ha incontrato collaboratori, allievi, ex allievi e persone comuni interessate all’argomento in uno dei suoi seminari del mercoledì, a cadenza circa bimensile, centrati sul linguaggio corporeo. Nella Aula Magna della S.I.P.I. che va riempiendosi, mentre cerca di capire davanti a quale uditorio parlerà, e invita delicatamente colleghi più anziani o giovani specializzandi a partire dalle proprie esperienze per discuterne insieme, il clima che crea è di riflessione intima, lenta e rispettosa. Per entrare nell’argomento, prima di rispondere agli interrogativi emersi, esorta due dei presenti a camminare brevemente, poi sollecita i presenti: quali differenze vedete voi fra questi corpi?………. Siamo in cerca della difficile condivisione di una lingua straniera che siamo in grado di parlare ma non sapremmo dire come“. Anche le persone che hanno in dono, dall’eredità biologica e di esperienze relazionali, una spontanea consuetudine con il linguaggio corporeo, sentono la difficoltà di usare questo linguaggio in modo consapevole e riflesso per farne strumento strategico nel lavoro psicoterapeutico o per poterlo insegnare. Se sempre, in questa professione, è fondamentale mantenersi insieme per discutere e confrontarsi, circa il lavoro con il linguaggio corporeo ciò diventa una condizione inderogabile per molti motivi.

Una delle difficoltà è che ognuno vede in base agli occhi che ha; non so come passarvi i miei occhi .. possiamo solo confrontarci su quello che vediamo e costruire una lingua comune mettendo insieme i nostri punti di vista“. L’uditorio si fa più attento mentre un giovane collega si offre per una esperienza di lavoro corporeo sul materasso. La diagnosi corporea è il primo passo; la diagnosi va considerata qualcosa di storico che dobbiamo essere disponibili a mutare durante le varie fasi del processo terapeutico, seguendo le vicende interiori in trasformazione raccontate dal modificarsi dei corpi. In base alla diagnosi corporea si scelgono gli esercizi corporei adatti. I costrutti di tutto, parti e relazione fra le parti possono aiutarci a costruire una grammatica corporea che ci guidi nel lavoro. Se guardiamo un corpo nella sua totalità la prima cosa da chiedersi è se il corpo come linguaggio è presente o assente; se è un corpo vivo o muto. Dei corpi vivi, guardandoli, ci domandiamo se sono in pace con sè o si vivono come nemici (il corpo come nemico); ci domandiamo anche se hanno raggiunto l’alfabetizzazione, cioè possono trasformare in parole fantastiche ed emotive e poi in pensieri ciò che sentono di sè, o non hanno questa capacità di leggersi e sono analfabeti. Nell’osservare troveremo che ci sono assetti corporei globali stabilmente organizzati nella chiusura (che andrebbero modificati nel senso dell’apertura) o, all’inverso, nella apertura (che andrebbero modificati nel senso di un maggiore raccoglimento). Se invece guardiamo un corpo differenziandolo nelle sue parti più ampie (testa, tronco, bacino, arti inferiori e superiori) osserveremo lo sviluppo di queste parti:  distretti corporei da sviluppare e altri che vanno ridimensionati; ad esempio toraci da allargare perchè prendano la forza e l’assertività che gli manca insieme al permesso di respirare e toraci gonfi e bloccati da sgonfiare perchè pieni di aria vecchia e stagnante. Possiamo ancora, guardando i punti di relazione fra i vari distretti (testa/collo/tronco; tronco/bacino; tronco/arti superiori; bacino/arti inferiori), notare punti di mancanza di armonia e fluida comunicazione fra i vari distretti o addirittura di frattura. In base a simili e molte altre osservazioni vanno pensati gli esercizi corporei che sono da somministrare come si fa con i farmaci, con costanza e secondo un progetto terapeutico integrato sia con il lavoro sugli altri linguaggi (quello fantastico, che ha la più stretta connessione con quello corporeo, quello emotivo, quello razionale) che con lo sviluppo delle capacità di riflettere su di sè. Il giovane disteso sul materasso viene invitato ad eseguire un certo movimento che modifica leggermente la posizione spontanea dei suoi piedi. Ciò modifica l’assetto dei muscoli e delle articolazioni delle ginocchia e delle anche, fa nascere sensazioni nuove negli arti inferiori. Tutti vediamo che paura e tristezza, nel silenzio, affiorano sul suo volto; quando il professore chiede se sta succedendo qualcosa il collega conferma; è consapevole di quello che gli sta accadendo, ma non sa come mai. Il professor Ariano spiega: gli arti inferiori sono connessi alla stabilità e alla forza; qualcuno non può sentire nel corpo il piacere di essere forte; queste persone sono destinate alla paura della vicinanza, anche desiderandola; non ci si può esporre alla vicinanza senza avere la possibilità di sentirsi forti abbastanza da mettere la distanza opportuna quando c’è un pericolo. Tutti questi appena espressi sono concetti corporei. Per comprendere le emozioni emerse proviamo a chiederci: nelle braccia di quale madre un corpo in età pre-verbale ha sviluppato questo concetto: sentirmi forte è pericoloso.. Anche l’uditorio diventa triste e un po’ spaventato, come il collega, che viene lasciato tornare al suo posto; qualche commento alleggerisce il clima emotivo e permette di riguadagnare il livello del linguaggio razionale. Il prof. Ariano insegna che il lavoro corporeo è fatto soprattutto di un allenamento a piccoli passi che offra al corpo la possibilità, nel fare esperienze nuove del sè corporeo in una relazione essenzialmente pre-verbale con un terapeuta-genitore, di far nascere nella carne nuovi concetti che disconfermino gli antichi postulati corporei; sono questi che, nel tempo, hanno organizzato le esperienze trasformandole in quelle emozioni, quelle fantasie e quei pensieri che hanno aperto la strada alla sofferenza mentale.

 

Simona Digaetano